lunedì 25 gennaio 2010

Una dieta italiana

Berlusconi? Non ho mai visto un innocente darsi tanto da fare per farla franca
(D. Luttazzi)




Adolescenti italiane, donne di mezza età, pensionate in menopausa: dimenticate pozioni magiche, massacranti sedute di spinning, diete a punti, pillole, creme, erbe ed insalate scondite. Per perdere le tanto agognate tre taglie c'è un metodo infallibile, rapido ed indolore (o meglio “insudore”): ridurre di tre taglie il proprio guardaroba. Avete capito bene: basterà comprare abiti più stretti et voilà, tre taglie nel giro di una chiusura di cerniera. Non lo dico io: lo dice il governo.
L'imminente riforma sul cosiddetto “processo breve” si basa infatti sulla stessa logica, geniale ed innovativa: si accorciano i tempi di prescrizione per diminuire la durata dei processi. Come dire che uscendo di casa senza ombrello, smetterà di piovere. Ma procediamo per gradi.
Il disegno di legge “misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi” (questo il nome-travestimento della legge) si basa sulla modifica dei tempi di prescrizione dei reati, quei tempi oltre ai quali un reato si estingue e l'imputato non può più essere condannato.
Fino ad oggi questi termini di prescrizione erano commisurati all'entità di ciascun reato, in modo da consentire alla giustizia di accertare per tempo la colpevolezza o l'innocenza dell'imputato. Con la nuova legge , invece, si raggruppano tutti i possibili reati ed i relativi tempi di prescrizione in soli tre gruppi:
reati puniti con pene inferiori ai 10 anni: i termini per giungere a sentenza non dovranno superare i 3 anni per i processo di primo grado, i 2 anni per i processi in Appello e l'anno e mezzo per i processi in Cassazione. Durata massima del processo: 6 anni e mezzo
reati puniti con pene superiori ai 10 anni: i termini per giungere a sentenza non dovranno superare i 4 anni per i processo di primo grado, i 2 anni per i processi in Appello ed i 6 anni e mezzo per i processi in Cassazione. Durata massima del processo: 7 anni e mezzo
reati di mafia e terrorismo: i termini per giungere a sentenza non dovranno superare i 5 anni per i processo di primo grado, i 3 anni per i processi in Appello ed i 2 anni per i processi in Cassazione. Limitatamente a queste due categrie di reato, il giudice potrà aumentare di un terzo i termini di prescrizione ove il processo fosse particolarmente complesso (es. molti imputati). Durata massima del processo: dai 10 ai 15 anni
Considerando che in Italia la durata media del processo penale è di circa 8 anni e che all'interno del calcolo di questa media vengono inclusi processi che si concludono in tempi rapidissimi (guida senza patente, furto semplice, oltraggio a pubblico ufficiale, ecc..) il risultato è devastante: oltre 100 mila processi che evaporano all'istante (fonte Associazione Nazionale Magistrati).
Non stiamo parlando di caramelle rubate: si va dallo stupro alla corruzione, dalla frode fiscale agli omicidi colposi in ambito medico, dalle lesioni personali alla bancarotta preferenziale, dalla violenza privata al traffico di rifiuti, dalla ricettazione allo sfruttamento della prostituzione. Inoltre, secondo i magistrati, saranno condannati ad “estinzione certa” i processi per i crack Parmalat e Cirio, per le morti da amianto, per le morti bianche alla Tyssenkrupp nonchè il processo alla clinica S. Rita di Milano (la “clinica degli orrori”), dove i pazienti sani venivano operati per “fare cassa”.
Ora, voi vi chiederete: che cosa può mai indurre i nostri governanti ad approvare in tutta fretta una legge che, confondendo gli effetti che deriverebbero da un processo di “ragionevole durata” (ovvero la riduzione dei tempi di prescrizione) con la soluzione per giungere a tale “ragionevole durata” dei processi, garantisca l'impunità ad un gran numero di criminali e delinquenti, mortifichi la dignità delle vittime dei reati e comprometta in modo forse irreversibile quei principi di legalità e giustizia alla base di un qualsiasi stato civile che voglia (e possa) dirsi tale?
Memori delle altre diciotto leggi ad personam (arrotondamento per difetto) fatte approvare nell'ultimo decennio, i maligni potrebbero rispondere a colpo sicuro: la volontà di Berlusconi di salvarsi dai processi in cui è imputato. Eppure, leggendo il testo della legge, questo dubbio sembra svanire. Nonostante i processi a carico del nostro presidente del consiglio siano già in corso, infatti, la legge non ha effetto retroattivo e non può dunque influire sui tempi di prescrizione dei processi già avviati. Ma si sia, Berlusconi ne sa una più di Silvio. Quando meno te l'aspetti ecco la leggina, il cavillo che ti frega prima che te ne possa accorgere.
All'interno della legge c'è infatti una norma transitoria che allarga i nuovi, generosi, termini di prescrizione a quei processi che, benchè già in corso, si riferiscano a reati indultati (che beneficiano cioè dell'indulto approvato dal parlamento nel 2006 a larghissima maggioranza) o commessi prima del 2 maggio 2006, la cui pena sia inferiore ai 10 anni di reclusione. Come se non bastasse, per questi procedimenti l'estinzione per prescrizione scatta dopo appena due anni.
Occhio alle date.
I rinvii a giudizio dei due processi pendenti a carico di Berlusconi sono datati 10 Marzo 2006 (processo Mills per corruzione in atti giudiziari) e 22 Aprile 2005 (processo Mediaset sulla compravendita di diritti tv a prezzi gonfiati). Considerando la sospensione dei tempi di prescrizione dovuta al periodo in cui il lodo Alfano, poi bocciato dalla Corte Costituzionale, è rimasto valido (circa un anno e tre mesi)  il processo Mills si prescriverebbe il 10 Marzo 2009, mentre il processo Mediaset il 25 Aprile 2005. Cioè nel passato.
Nell'infausta (per Berlusconi) e remota ipotesi che qualche membro della sua maggioranza, stanco di calpestare e mortificare la propria dignità per garantire l'impunità al capo (leghisti di “Roma ladrona” dove siete??), contribuisca ad impedire la definitiva approvazione della legge, non temete: le vie del signor(ino) sono infinite. Già pronte sul tavolo due proposte di legge: una per togliere valore di prova alle sentenze passate in giudicato, l'altra per depenalizzare la corruzione “susseguente”.
La prima impedirebbe all'eventuale sentenza di condanna definitiva ai danni dell'avvocato Mills per corruzione in atti giudiziari (sarebbe stato corrotto dallo stesso Berlusconi) di fungere da prova del comportamento corruttivo di Berlusconi (non ridete, è tutto vero).
La seconda, cancellando il reato di corruzione “susseguente”, legalizzerebbe di fatto qualsiasi tipo di corruzione: al corruttore basterebbe infatti mettersi d'accordo con il corrotto, ricompensandolo non appena ricevuto il favore pattuito.
Nei giorni in cui Totò Cuffaro, l'ex presidente della regione Sicilia interdetto dai pubblici uffici e prontamente promosso senatore da Casini nelle file dell'UDC, viene condannato a sette anni per favoreggiamento alla mafia (sentenza di secondo grado), nei giorni in cui per lo stesso presidente Berlusconi si profila un nuovo rinvio a giudizio per frode fiscale e appropriazione indebita (e dunque un'altra fuga dalla giustizia e dalle proprie responsabilità), ritorna alla mente un episodio del lontano 1974.
L'allora presidente della Camera Sandro Pertini, una di quelle persone per cui vale ancora la pena dirsi italiani, minaccia di rimandare le vacanze dei parlamentari qualora non fossero emersi i nomi dei politici ai quali i petrolieri avevano pagato le tangenti. Quando alcuni sospetti, che si riveleranno poi totalmente infondati, iniziano a circolare anche sul suo conto, il Corriere della sera, unico giornale che lo difende, gli chiede un intervista per fugare ogni sospetto. Questa la sua risposta: “Se proprio devo spiegare non parlerei mai con il Corriere. Mi avete difeso. Sarebbe disonesto parlare proprio con voi che siete dalla mia parte”.
Pertini è stato il miglior presidente della Repubblica della giovane democrazia.

In attesa di Silvio, ovviamente.

venerdì 22 gennaio 2010

La riabilitazione di Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico



Vi propongo una curiosa e simpatica proposta ideata, realizzata e gentilmente concessami da GioGio, riguardo al tema della riabilitazione dei grandi “statisti” della storia politica della nostra penisola. Associandomi all'auspicio di una immediata e tempestiva rivalutazione del Nerone “politico” e lasciando agli storici il giudizio del Nerone “storico” (lo so, non vuol dire assolutamente niente ma è l'espressione che oggi va per la maggiore), chiedo che per i magistrati che l'hanno condannato e per i comunisti che l'hanno ucciso, non valgano le agevolazioni previste dall'imminente legge sul processo breve (lo so, nessun magistrato l'ha mai condannato e nessun comunista l'ha mai ucciso...ma quant'è bello praticare l'arte del parlare a vanvera!).



La riabilitazione di Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico

Signori e signore, ragazzi e ragazze, infanti e infantesse sono qua per porre davanti a tutti voi una questione di coscienza.
Io GioGio D. Darkdancer penso che dopo 1942 anni (che se ci pensate è anche "l'anagramma" di 1492, anno della scoperta dell'America, quindi sicuramente un anniversario della libertà) sia giunto il momento di riguardare a quella fase politica tanto tormentata che ha visto la splendente ascesa e la forcaiola caduta di uno dei più grandi statisti della storia dell'umanità: NERONE CLAUDIO CESARE AUGUSTO GERMANICO.
Sono convinto che TUTTI VOI, una volta abbandonate le vostre ideologie e fatta vostra la più pura onestà intellettuale, non possiate che concordare con me che, a parte alcuni discutibili, marginali e sicuramente privati vizietti del nostro Nerone, quali:
- la piscina con i bambini piccoli dove lui nuotava felice mentre questi gli mordicchiavano il pene
- l'uccisione delle madre e della sorella
- il matrimonio con un ragazzetto evirato
- l'incendio di Roma (era casa sua dopotutto)
esso vada ricordato piuttosto nel suo ruolo di DIO/POLITICO/IMPERATORE senza uguali nella storia repubblicana (ma non era un imperatore? xD), alcune sue riforme (che io non ricordo ovviamente) cambiarono completamente il modo di intendere la politica, i diritti dell'uomo e del cittadino, il territorio, e i ludi gladiatori.
Quindi chiedo a tutti voi, con il cuore e le vostre coscienze in mano, di alzare un urlo di giustizia e verità per riabilitare la grande figura di NERONE CLAUDIO CESARE AUGUSTO GERMANICO, che la cronaca, i giornali di sinistra, i comunisti in generale e pure costruttori di sedie hanno contributo a distruggere nei millenni con un vero e proprio "killeraggio mediatico".

Sinceramente Vostro: D.

martedì 19 gennaio 2010

Scappato col.....Bettino

L'altra notte ho sognato Craxi vestito da principe azzurro. Veniva su uno splendido destriero bianco e mi portava via. Tutto!
(P. Rossi)


La buona notizia è che ci siamo lasciati alle spalle il regime. Quella cattiva è che stiamo facendo peggio.
Un sistema politica autoritario avrebbe, se non il buon gusto, quantomeno la prudenza di astenersi dal celebrare pubblicamente un corruttore, pluricondannato, sottrattosi dalle mani della giustizia e morto da latitante lontano dal paese che egli stesso, più di ogni alto, aveva contribuito ad affossare.
Ma, come ammonisce Woody Allen, si sa, “I politici hanno una loro etica. Tutta loro. Ed è una tacca più sotto di quella di un maniaco sessuale”. Dunque, tutti ad Hammamet, per rendere omaggio a Bettino Craxi con una due giorni di celebrazioni in terra tunisina, in occasione del decimo anniversario della sua morte. Tra le circa 600 persone che prendono parte alla trasferta, anche i ministri Sacconi, Frattini e Brunetta (proprio lui, quello che combatte i fannulloni e gli sprechi della pubblica amministrazione), nonché il capogruppo alla camera del Pdl, l'immancabile Fabrizio Cicchitto. La scena è tragicomica. Nel senso che, se non fosse tragica, sarebbe davvero divertente.
Questi quattro personaggi sono infatti esponenti di primo piano del principale partito di governo, il Pdl (ex Forza Italia), nato nel 1994 sull'onda di “Mani Pulite”, l'operazione giudiziaria che svelò il sistema di corruzione ed il diffuso clima di illegalità che permeò la politica italiana (almeno) a partire dagli anni '80. Tutto questo nonostante il leader indiscusso dello stesso partito, Silvio Berlusconi, fosse un grande amico del principale responsabile (o quantomeno di colui che ne beneficò maggiormente) di questa deriva di illegalità: Bettino Craxi. Tutto questo nonostante il partito in questione, Forza Italia (poi Pdl), annoverasse tra le sue fila esponenti di spicco di quella stessa classe politica che il suo leader condannava.
Poi, all'improvviso, la virata. Mani Pulite diventa una persecuzione giudiziaria attuata da una magistratura politicizzata ed eversiva. Craxi ed i suoi compagni di merenda diventano dei perseguitati politici. I latitanti diventano esuli. Le guardie diventano ladri. I ladri diventano statisti innovatori della politica italiana. Il sistema politico fondato sulla corruzione, sulle tangenti e sul finanziamento illecito diventa “una democrazia costosa che permise al paese di restare per 50 anni nel mondo libero” (Augusto Minzolini, direttore del tg1, 13/01/2010).
E così, gli ex compagni di partito dell'amico, poi nemico, poi di nuovo amico dell'attuale presidente del consiglio, chiudono il cerchio con il pellegrinaggio in terra tunisina, sacrificando all'altare del dio Bettino un bene ormai anacronistico per la rinnovata politica del bel paese: la dignità del popolo italiano (o quel che n'era rimasto).
Ci si aspetta almeno un sussulto da parte dell'opposizione, una manifestazione di dissenso, una qualche iniziativa a tutela del mantenimento (e non della revisione) della verità storica dei fatti. Poi ci si ricorda che l'opposizione è il PD: il partito che inserisce Craxi all'interno del Pantheon, l'insieme dei personaggi politici che rappresentano un punto di riferimento per il partito, di cui il partito si dichiara erede e da cui promette di trarre ispirazione. E si perde la speranza.
Ormai lobotomizzato da tutte queste celebrazioni, ipnotizzato dalle rivisitazioni delle tv di regime che esortano alle (ri)valutazioni del Craxi “uomo politico” (come se il buon Bettino, quando rubava, non fosse leader del partito socialista e, a tempo perso, capo del governo), propongo dunque un epitaffio commemorativo, per rendere il mio personale omaggio allo storico leader del garofano.

Benedetto Craxi detto Bettino (Milano, 24/02/1934 – Hammamet, 19/01/2000).
Condannato definitivamente a:
5 anni e 6 mesi per corruzione nel processo Eni-Sai.
4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito per le mazzette della metropolitana milanese. Per quantificare il peso economico del sistema delle tangenti basti pensare che la linea 3 della metropolitana milanese costò 192 miliardi di lire al chilometro. Il metrò di Amburgo né costò 45 al chilometro. Meno di un quarto.
Per tutti gli altri processi in cui era imputato è stata pronunciata sentenza di estinzione del reato per morte del reo.
Fino a quel momento era stato condannato a:
4 anni e una multa di 20 miliardi di Lire in primo grado per il caso All Iberian (pena caduta in prescrizione nel 1999), ovvero per i 21 miliardi di lire di finanziamento illecito versati dalle società fininvest di Silvio Berlusconi su uno dei conti svizzeri di Bettino, come ringraziamento per la legge Mammì, frettolosamente varata dallo stesso governo Craxi.
5 anni e 5 mesi in primo grado per tangenti Enel (corruzione)
5 anni e 9 mesi in appello per il Conto Protezione (bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano), sentenza poi annullata dalla Cassazione con rinvio il 15 Giugno 1999.
3 condanne a 3 anni in appello per la maxitangente Enimont (finanziamento illecito)
Due rinvii a giudizio per i fondi neri Montedison e per i fondi neri Eni (i processi non si celebrarono poichè Craxi morì).
Il pool di mani pulite accertò introiti per almeno 150 miliardi di lire sui 4 conti esteri a lui riconducibili e gestiti da alcuni prestanomi, tra i quali un compagno di scuola, Giorgio Tradati, ed un barista di Portofino, Maurizio Raggio. Quest'ultimo, quando Craxi, nel Dicembre del '92, ricevette il primo avviso di garanzia, venne incaricato dallo stesso leader socialista di recarsi in Svizzera e svuotare i conti su cui i giudici milanesi avrebbero potuto presto mettere le mani. Raggio eseguì alla lettera, prelevando circa 50 miliardi di lire e fuggendo in Messico (dove dichiarò di aver speso 15 dei 50 miliardi per le “spese di latitanza”). Vittima inconsapevole di prestanome “traditori”? Assolutamente no. La corte d'Appello di Milano precisò che “non ha alcun fondamento la linea difensiva incentrata sul presunto addebito a Craxi di responsabilità di ‘posizione’ per fatti da altri commessi, risultando dalle dichiarazioni di Tradati che egli si informava sempre dettagliatamente dello stato dei conti esteri e dei movimenti sugli stessi compiuti”. Queste le principali spese dei proventi illeciti dello statista innovatore della politica italiana.
Acquisto di un'appartamento a New York, due a Milano, uno a Madonna di Campiglio ed uno a La Thuile.
Acquisto di un aereo Sitation da 3 miliardi di lire.
“Donazione” mensile da 100 milioni di lire alla stazione televisiva Roma Cine Tivù, di cui la sua amante Anja Pieroni era direttrice generale.
Alla stessa Pieroni, regalò una casa ed un albergo (l'hotel Ivanhoe), entrambi a Roma, e le “pagò la servitù, l'autista e la segretaria”.
Prestito di 500 milioni al fratello Antonio, neo seguace del guru Sai Baba.
Affitto di una villa a Saint Tropez per l'austero esilio del figlio Bobo, desideroso di “sottrarsi al clima poco favorevole creatosi a Milano”, alla modica cifra di 80 milioni di lire, tutto compreso.
Tra la fine di Aprile e l'inizio di Maggio del 1994, appena prima che i Carabinieri lo arrestassero, fuggì in Francia, prima, ed in Tunisia, poi, sottraendosi alla giustizia dello stato che egli aveva (mal)rappresentato. Il 25 Luglio del 1995 fu dichiarato latitante dall'autorità giudiziaria italiana. Il 19 Gennaio 2001, sempre da latitante, morì ad Hammamet.
Lascia in eredità al popolo italiano il sistema “Tangentopoli”, uno dei più grandi scandali corruttivi mai verificatosi nella storia delle moderne democrazie, i cui costi economici furono stimati dall'economista liberale Mario Deaglio in circa 10 mila miliardi di lire all'anno. Questo sistema contribuì pesantemente all'impennata del debito pubblico, che, nel quadriennio di governo Craxi (1983-1987), passò dal 70% al 92% del PIL, per poi toccare quota 118% nel 1992, anno in cui l'inchiesta “Mani pulite” svelò la colossale rapina ai danni dei cittadini. Cittadini che, come se non bastasse, furono costretti a coprire di tasca loro le nefandezze del sistema (e lo saranno per molti anni ancora). Basti pensare che la finanziaria varata dal governo Amato a fine 1992, prevedeva 92 mila miliardi di lire di sole tasse ed il prelevamento forzato del 6 per mille sui conti correnti di ciascun cittadino italiano.

Se l'etica pubblica, la dignità nazionale, l'esercizio della (vera) memoria storica ed il rispetto del principio di legalità non sono valori abbastanza importanti da suscitare, ove violati, l'indignazione dei cittadini italiani, abbiano questi almeno la capacità di indignarsi di fronte a ciò che di più caro questo personaggio sottrasse loro per sempre:

il denaro.

martedì 12 gennaio 2010

Pessimismo democratico

"È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora".
(W. Churchill)

L'altra sera è nata un'interessante discussione intorno al concetto di democrazia. Questo post cerca di rispondere ai diversi interrogativi emersi durante il dibattito e che, al di là delle opinioni e degli orientamenti personali, mi hanno offerto l'occasione di confrontarmi con altri punti di (s)vista e di trarre alcune preziose riflessioni riguardo alla desiderabilità della democrazia ed alla sua effettiva (o solo presunta?) capacità di promuovere il benessere e lo sviluppo sociale. A tal proposito colgo l'occasione per ringraziare Jacopo e gli altri ragazzi presenti (dai quali, ahimè, non ricordo il nome), auspicando il proseguimento della discussione su questo blog.

Letteralmente, democrazia significa “governo del popolo”: un sistema politico in cui i governanti coincidono con i governati sul modello della antica Atene, primo vero esempio storico di democrazia diretta. Nel corso della storia il concetto di democrazia ha però allargato i propri orizzonti. L'attuale concezione di democrazia è derivazione diretta delle rivoluzioni di fine '700: la rivoluzione francese, che ha posto l'accento sui diritti umani e politico-civili e la rivoluzione americana, che ha applicato per la prima volta il concetto di sovranità popolare. Benjamin Franklin, uno dei principali padri costituenti degli Stati Uniti d'America, oltre che governo del popolo, considera la democrazia come governo per il popolo e derivante dal popolo, introducendo così il concetto di sovranità popolare (governo derivante dal popolo, sua diretta emanazione) esercitato attraverso la delega di responsabilità ai cosiddetti “governanti” (tenuti a governare per il popolo).
Il concetto di sovranità popolare, centrale per comprendere la natura e l'essenza della democrazia, consente di confutare quel paradosso che rappresenta una delle più frequenti critiche rivolte alla democrazia: la possibilità che la maggioranza, democraticamente, voti per il passaggio ad un regime non democratico. L'errore fondamentale del paradosso risiede nella mancata considerazione di come una delle caratteristiche fondanti delle moderne democrazie sia la tutela delle minoranze. La sovranità è infatti prerogativa del popolo tutto, mai di una sua sola parte, neppure se maggioritaria. La volontà della maggioranza non può dunque prevaricare i diritti della minoranza: può decidere, ma solo nei limiti previsti dalla legge (e/o dalla costituzione). Nella nostra Costituzione, ad esempio, la natura repubblicana del nostro stato non è modificabile (art. 119). E' bene ricordarsi questo “dettaglio” quando sentiamo una (o più) parte politica arrogarsi il diritto di cambiare le regole del vivere civile, di sottrarsi alla legge, ecc.. in virtù di una (illegittima) legittimazione popolare.
La presenza e la salute dello stato di diritto è dunque, contemporaneamente, garanzia e requisito essenziale di ogni democrazia. Nello stesso tempo, però, riduce lo spettro di attività dei cittadini, in quanto distingue tra azioni lecite (concordi al diritto) ed illecite (contrarie al diritto). Dato che non esiste democrazia senza stato di diritto, ed è questa la seconda “accusa” alla democrazia, essa non costituirebbe un regime politico desiderabile in quanto, inevitabilmente, inciderebbe in modo restrittivo sulla libertà dei propri cittadini. E questo è un fatto vero. Ma, aggiungo io, inevitabile. Tralasciando le considerazioni filosofiche su cosa sia libertà e su quali elementi essa si fondi (libertà come anarchia o libertà come rispetto reciproco?), non (solo) una pessimistica concezione antropologica, ma la storia, dimostra e testimonia l'indole tutt'altro che pacifica e coscienziosa dell'uomo. Il ritorno allo stato di natura, ad una società senza stato, si risolverebbe in un uomo contro uomo, nell' “homo homini lupus” (l'uomo è lupo per l'uomo) ripreso nel pensiero di Thomas Hobbes. Rinunciare ad una parte delle proprie libertà in favore di uno stato che, contemporaneamente, rappresenti e faccia rispettare la legge, appare dunque, a mio modo di vedere, una rinuncia essenziale in quanto finalizzata ad evitare il caos sociale e l'inevitabile (anche qui, a mio modo di vedere) uomo contro uomo che caratterizzerebbe una società senza stato.
Stabilito questo, non esiste un sistema politico “ideale” in assoluto: il grado di desiderabilità e virtù di un sistema politica dipenderà direttamente dai singoli e soggettivi orientamenti politico-filosofici individuali. Chi considera come valori fondanti l'ordine sociale, la disciplina, ecc.. propenderà per regimi autoritari classici; chi considera come valore fondante l'uguaglianza sostanziale, la solidarietà sociale, ecc.. propenderà per sistemi collettivistici di tipo comunistico.
La forza e la grandezza della democrazia, o meglio di come la democrazia ideale dovrebbe essere, consiste, a mio parere, nel lasciare l'uomo completamente libero nella sua autodeterminazione economica, sociale e politica (la nostra costituzione recita, all'articolo 3, “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico e sociale che[..]impediscono il pieno sviluppo della persona umana[..]).
Consapevole della diversità (e legittimità) dei singoli orientamenti individuali (chi, ad esempio, considera l'uguaglianza sostanziale un valore più importante dell'autodeterminazione non converrà con me sul punto precedente), mi limito a rispondere ad un paio di punti emersi durante il dibattito.
1) Un'uguaglianza sostanziale imposta, artificiale, non è meno discriminatoria di quanto non sia la disuguaglianza sociale nelle società capitalistiche. Cambiano solo i soggetti interessati. Nelle società capitalistiche, ai “deboli” sarò impedito il processo di ascesa sociale; nelle società fondate sull'uguaglianza sostanziale, a tutti i cittadini sarà impedita qualsiasi forma di ascesa sociale. Sarà garantita la libertà dal bisogno ma sarà annullata la libertà di autodeterminazione, soprattutto economica. Anche qui, questione di gusti.
2) La “dittatura del proletariato” auspicata da Marx, non assomiglia al “governo del popolo”a cui fanno riferimento i sistemi democratici. Sorvolando sulle differenze tra i termini dittatura e governo, che talvolta possono sovrapporsi, esiste una differenza sostanziale: nel primo caso si fa esplicito riferimento alla sopraffazione di un parte del popolo (il proletariato) ai danni di un'altra parte del popolo (la borghesia). Nel secondo caso si fa invece riferimento alla totalità dei cittadini (il popolo), depositari della sovranità e che dunque, almeno formalmente, vengono considerati come soggetti politicamente paritari.

Anche a me piacerebbe vivere in una società eguale, dove “ognuno dà secondo le proprie capacità e riceve secondo i propri bisogni”.

Ma sono pessimista. E, dunque, democratico.

martedì 5 gennaio 2010

Inciuci di fine millennio

Sinistra che vai, amici (ed amore) che trovi










"Il miglior modo per eliminare i propri nemici è farseli amici" (A. Lincoln)

Non credete a quello che vi dicono i giornali ed i giornalisti fomentatori di odio: il partito dell'amore non l'ha inventato Berlusconi. L'ha inventato la sinistra.
Prima, nella sua più autentica manifestazione, con Craxi ed il suo PSI (lascio a voi lo sviluppo dell'acronimo). Poi, in una sua riproposizione malriuscita, con le Margherite, gli Ulivi e gli Arcobaleni di turno. Ma andiamo con ordine.
Nel 1984 Berlusconi è ancora un imprenditore, intento, come spesso gli accade, ad aggirare la legge. La legislatura di allora non permette infatti alle sue tre televisioni (Canale5, Italia1 e Rete4) di trasmettere contemporaneamente su scala nazionale. All'inizio di Ottobre, alcuni magistrati particolarmente attenti scoprono la violazione ed impongono l'interruzione delle trasmissioni dei 3 canali nelle zone di loro competenza giuridica. Il Cavaliere non si scompone: dietro consiglio di un suo avvocato, si adopera per aggirare il fastidioso ostacolo legislativo, sfruttando un sistema di videocassette che, trasmesse in contemporanea sulle emittenti locali dell'intera penisola, consentono di bypassare il sistema dei “ponti radio”, espressamente vietato dalla legge. Nasce la “tecnica del pizzone” o “syndacation”. Traduzione: una scappatoia bella e buona.
Per stabilizzare la situazione e regolarizzare a tutti gli effetti il privilegio delle reti del Biscione, l'allora presidente del consiglio Craxi, amico fraterno del Cavaliere, si precipita da Londra, dove era in visita di stato, per varare il cosiddetto “primo decreto Berlusconi”. Una bel termine tecnico-specialistico per non destare l'attenzione (e lo sdegno) dell'opinione pubblica ed il gioco è fatto: la cosiddetta interconnessione funzionale è finalmente legalizzata.
I consensi piovono da destra e da sinistra. Indimenticabile la posizione dell'allora responsabile dell'informazione del Partito Comunista, Walter Veltroni: “Non ci si deve rallegrare che emittenti televisive vengano oscurate [..] non è con il black out che si risolvono i problemi del mondo televisivo”.
Il decreto, bocciato per incostituzionalità il 28 Novembre, viene riproposto il 6 Dicembre, convertito in legge il 4 Febbraio 1985 e rinnovato per 2 volte, la seconda delle quali a tempo indeterminato. Il PC ha infatti seppellito l'ascia di guerra in cambio della direzione del tg3 e della presidenza di rai3. Nei salotti della politica questa scelta viene accolta (e dipinta) come un indispensabile atto di realpolitik. Al bar sport, in modo tanto pittoresco quanto efficace, la si descrive per quello che è: la carota dopo il bastone.
Nel 1990 la legge Mammì (governo Andreotti), concede ufficialmente a Berlusconi le tre reti nazionali di cui egli, di fatto, è già proprietario: il sistema di videocassette può essere finalmente accantonato. La strada maestra delle trasmissione analogica è definitivamente intrapresa.
Così il figlio politico di Craxi, forte di quest'ultimo gradito regalo della prima repubblica, nella primavera del 1994 riesce nella sensazionale impresa di vincere le elezioni a soli 3 mesi dalla sua discesa in campo e, cosa ancor più incredibile, di presentarsi come il nuovo che avanza, come l'erede politico e morale di quelle inchieste giudiziarie (“mani pulite” fra tutte) che hanno decimato la stessa classe politica che lo aveva tanto amato (ed aiutato).
L'idillio del Cavaliere sembra però svanire appena pochi mesi dopo. Mentre la Lega di Bossi fa cadere il governo da lui presieduto, le inchieste giudiziarie che lo riguardano si fanno sempre più minacciose. Come se non bastasse, in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale che impone la riduzione a due delle reti Mediaset a diffusione nazionale, vengono indetti 4 referendum che ridiscutono quella legge Mammì a lui tanto cara. Ma si sa: un vero amico si vede nel momento del bisogno. Ed il centrosinistra, da vero amico, non si tira indietro, facendo fallire i referendum e promettendo, come ricorda l'attuale esponente PD Violante, “che non sarebbero state toccate le sue televisioni [..] del resto durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset è aumentato di 25 volte”. Più amici di così...
Nel '96 Berlusconi è di nuovo alle corde. Prodi vince le elezioni con un programma battagliero ed intransigente sul fronte del conflitto di interessi e delle leggi anti-trust. Ma ecco che D'Alema, con cui il Cavaliere si sente ogni giorno, lo rassicura subito: “Non abbiate paura[..]troveremo intese. Mediaset è un grande patrimonio per il paese”. Detto, fatto. In Luglio la legge Maccanico manda in soffitta la sentenza della corte costituzionale e rinnova una proroga illimitata per le reti Mediaset.
Il 22 Gennaio 1997 nasce la commissione bicamerale, presieduta da D'Alema (votato anche da Forza Italia), con lo scopo di attuare le tanto agognate “riforme condivise” (vi ricordano qualcosa?). Risultato: in due anni di bicamerale nessuna legge sul conflitto di interessi, nemmeno l'ombra di una legge anti-trust ed il respingimento della richiesta di arresto di Previti (avvocato del Cavaliere) e Dell'Utri (co-fondatore di Forza Italia e noto procacciatore di stallieri, condannato, tra le altre cose, per concorso esterno in associazione mafiosa con sentenza di primo grado).
Il resto è storia recente: la coalizione di centro-sinistra (un'accozzaglia di partiti pescati a strascico all'interno dello spazio politico compreso tra il centro e la sinistra) guidata da Prodi a partire dal 2006, riesce nell'incredibile impresa di riesumare per la 3° volta il Cavaliere, che, nel 2008, ritorna al governo senza che alcuna legge sul conflitto di interessi sia stata varata.
Anche nell'attuale legislatura i segnali di amore non mancano. Oltre ai già citati inciuci, da ricordare le amorevolissime assenze dei deputati pidini (59 assenti) in occasione della votazione sulla pregiudiziale di incostituzionalità dello scudo fiscale lo scorso 29 Settembre, che, se approvata, avrebbe consentito di depositare quella legge nel luogo ad essa più consono: il cestino.
Assenti, tra gli altri, Franceschini, Bersani e D'Alema (altro che partito diviso..). Memorabile il commento di quest'ultimo: “Avevo una manifestazione e non mi era stato spiegato bene che era un voto importante”.

Del resto, si sa: al cuor non si comanda.