sabato 25 dicembre 2010

Propagandhisti di buon cuore (nero)

Ci pisciano in testa e poi ci dicono che piove
(M. Travaglio)


I recenti scontri tra studenti e forze dell’ordine, espressione del profondo disagio di intere generazioni, hanno fatto spuntare tutt'a un tratto una specie finora sconosciuta: quella dei propagandhisti.
Avete capito bene. Non è un’errore di scrittura, ma il nuovo prodotto rigorosamente “made in Italy” partorito dalla nostra classe dirigente. Si divide in tre gruppi e comprende tutti quei personaggi che sfruttano a fini propagandistici le categorie del pensiero non violento di derivazione Gandhiana.

Il primo gruppo è composto da quelli che ci credono (alias “quelli che ci sono”): sono i seguaci dell’evangelico “porgi l’altra guancia”, insegnamento che prendono a modello più quando le danno che quando le prendono. Anche perché loro non le prendono mai.
I propagandhisti del primo tipo, infatti, compongono lo sterminato universo dei “moderati”, ovvero tutti quelli che, per indole o più prosaicamente per culo, non si sono mai trovati in situazioni che ingenerassero in loro il genuino e legittimo desiderio di protesta. Sono quelli che “tutto va bene” perché a loro va tutto bene. Sono quelli che ti dicono cos’è giusto e cos’è sbagliato fare perché sono illuminati dal verbo del Signore (a proposito: auguri a Lui e a questo blog, che compie un anno!!). Sono quelli che “la violenza è sempre sbagliata”, non tanto perché la violenza sia effettivamente sempre sbagliata, ma perché è più facile e bello da dire e non comporta il faticoso esercizio del pensiero critico. Sono quelli per cui la bandiera della pace diventa il più qualunquista dei simboli, che rende sordi alle rimostranze dei popoli e ciechi di fronte alle differenti (e magari legittime) ragioni della violenza. Sono quelli che se non avrai la pensione, un posto sicuro e una casa, non devi gridare, sennò poi si sveglia Napolitano.

Il secondo gruppo è composto da quelli che fanno finta di crederci (alias “quelli che ci fanno”): a loro non frega nulla né dei motivi né dell’accettabilità morale della violenza (anche perché, per loro, la moralità è più spesso un ostacolo che un valore). I propagandhisti del secondo gruppo, dunque, non si chiedono né perché ci sia la violenza né se essa sia giusta o sbagliata: fanno semplicemente i loro interessi. Spesso sono più violenti dei violenti, ma la loro violenza assume forme e modalità che non urtano la sensibilità dei propagandhisti del primo gruppo.
Questa specie ha nel Parlamento il suo habitat naturale. Qui, per uccidere il futuro o la libertà di un’intera nazione basta premere un pulsante. Violenti sì, dunque. Ma con stile.

Il terzo gruppo, infine, è il più sensazionale. E’ composto da tutti quelli che, non avendo una faccia, non temono di perderla (alias “quelli che c’hanno fatto”). Sono quelli che hanno razzolato male e che ora predicano bene. Sono gli smemorati, quelli che, a sentirli parlare, sprangate e arresti diventano “peccati di gioventù” e che “durante il fascismo tutti vivevano felici e contenti”. Sono quelli che ieri stavano dalla parte delle barricate e oggi stanno dalla parte delle forze dell’ordine e dello stato, che credono di rappresentare.
Qui di seguito trovate una breve descrizione di tre rappresentanti nonché esemplari purissimi di questa categoria.

Maurizio Gasparri: prima militante e poi deputato del Movimento Sociale Italiano, è uno dei figli politici di Giorgio Almirante, il gerarca fascista firmatario delle leggi razziali e del manifesto che condannava alla fucilazione tutti i partigiani del grossetano che non avessero deposto le armi e non si fossero prontamente arresi.
Gasparri, che oggi recita più la parte del pazzo visionario che non quella di capogruppo dei senatori Pdl (del resto i lineamenti e lo sguardo non proprio sveglissimo lo rendono perfetto per il ruolo), ripete da giorni e in modo compulsivo proposte sconsiderate, come l’arresto preventivo dei manifestanti. Dimenticando il suo passato (?) neofascista, quando, da deputato dell’MSI, si mischiava ai saluti romani e ai “boia chi molla” di un corteo del Fronte della Gioventù che assediava la Camera e minacciava alcuni deputati.

Smemorato è anche Ignazio Benito Maria La Russa, figlio di un senatore missino e fratello di Romano, oggi assessore regionale lombardo all’industria. L’attuale ministro della difesa, protagonista di una scenata isterica antiviolenza ad annozero, dimentica alcuni fatti.
Come quando, nel 1973, durante una manifestazione non autorizzata del Fronte della Gioventù, di cui egli era uno dei principali leader, e di altri gruppi neofascisti, una bomba a mano (!!) uccise il poliziotto Antonio Marino e ne ferì altri 12.
O come quando, sempre nelle manifestazioni degli anni ’70, Ignazio Benito era solito farsi accompagnare da un pastore tedesco. Il cane, come da lui stesso confermato, abbaiava non appena sentiva la parola “compagno”. Un seguace del Mahatma.

Ma il primato della poca memoria va a Gianni Alemanno, il sindaco di Roma che “il centro storico nun se tocca”. Gianni, oltre ad essere il suocero di Pino Rauti, storico leader dell’estrema destra considerato tra i “responsabili morali” della strage neofascista di Piazza della Loggia, ha un passato non proprio da ragazzo casa e chiesa. Anche se non verrà mai condannato per i reati contestati, negli anni ’80 viene arrestato per ben tre volte: nell‘81 per l’aggressione ad un giovane di sinistra, nell’82 per aver lanciato una molotov contro l’ambasciata dell’URSS e nell’89 per resistenza aggravata a pubblico ufficiale.

Partoriti dalle bocche dei propagandhisti, dunque, i più o meno condivisibili moniti contro la violenza diventano fumo negli occhi, semplici e subdoli espedienti finalizzati ad ignorare (propagandhisti del primo tipo), isolare (propagandhisti del secondo tipo) o reprimere (propagandhisti del terzo tipo) il dissenso.
Il messaggio è chiaro: se la vostra casa sta bruciando, l’acqua dovete usarla per pulirvi le mani. Morite, ma con stile.

Del resto, siamo italiani, noi.

mercoledì 15 dicembre 2010

Fiducia. Nell’agopuntura

Il problema è che il 90% dei politici rovina il buon nome dell’altro 10%
(H. Kissinger)


L’agopuntura. Altro che il debito pubblico galoppante (a proposito, nuovo record: 1.867,398 miliardi di euro), gli operai in cassa integrazione, le discariche a cielo aperto a Napoli, il conflitto di interessi e la ‘Ndrangheta (che, sia ben chiaro, a Milano non esiste). Il vero problema dell’Italia è l’agopuntura.
Non parlate di mazzette e ricompense. Domenico Scilipoti, classe 1957, deputato eletto con l’Italia dei Valori, ha dato la fiducia al governo Berlusconi (alla seconda chiamata, “alla prima ero in bagno”) convinto del fatto che la neocofermata maggioranza si impegnerà a difendere le pratiche e il buon nome di questa terapia di ultimo grido in Italia, in Europa e nel mondo.
Anzi no. L’ha data perché una troupe di Annozero ha importunato sua madre.
Anzi no, l’ha data perché lui è contro l’usura ed il racket del mondo bancario, dal quale la sua nuova fiamma, tale Silvio Berlusconi, è notoriamente estranea.
Il paladino dell’antica terapia cinese ha in questo modo liberato definitivamente il campo da tutte le voci maligne che vedevano la sua improvvisa illuminazione pro-governo dopo 12 anni di feroce antiberlusconismo e 32 voti di sfiducia a Berlusconi (l’ultimo dei quali nel lontanissimo settembre 2010), come viatico per uscire da alcuni piccoli guai economico-giudiziari nei quali si era appena cacciato. Sette immobili pignorate e 200mila euro di debiti. Quisquilie.
Maligne sono anche le decine di persone che, dopo aver manifestato in suo favore in Piazza San Silvestro a Roma, hanno confessato di essere state pagate. Da chi? Da lui, naturalmente.
Ma sempre per il bene dell’Italia.

In assoluta malafede era anche quello strano ed inquietante personaggio che, non più tardi di qualche settimana fa, fantasticava di fantomatiche offerte in denaro ricevute dall’onorevole Antonio Razzi (Idv, naturalmente) per passare agli scranni della maggioranza. Il fatto che Razzi sia effettivamente passato alla maggioranza e che abbia lo stesso nome e la stessa faccia di colui che qualche settimana prima denunciava il tentativo di corruzione, è pura casualità.
Dando la propria fiducia a quella maggioranza che poche settimane prima gli offriva ricompense in cambio di un voto, Razzi ha fatto una chiara ed esplicita scelta di responsabilità.
Per il bene dell’Italia.

Guai a toccare il soldato Calearo, poi. L’industriale eletto nelle file del Pd è corso in soccorso di Berlusconi – confermando così di meritare la fiducia riposta in lui da Veltroni – perché “gli imprenditori me lo chiedono” e perché comunque, sia chiaro, lui è in Parlamento “per divertirsi”. Per il bene dell’Italia.

Niente da dire nemmeno sulla scelta della (ex)finiana-fururoliberista-sfiducista Catia Polidori. Certo, è molto marcata la somiglianza tra lei e la bionda che, non più tardi di un mese fa, aprì il primo congresso di “Futuro e Libertà”, durante il quale si annunciò l’uscita del partito dal Governo e si chiesero le dimissioni di Berlusconi. Ma sono solo coincidenze.
Così come una vera e propria coincidenza è stata la ragione che ha spinto la collega di partito Maria Grazia Siliquini a votare contro la sfiducia. Aveva dichiarato: “dieci minuti prima del voto mi guarderò allo specchio e deciderò”. Cosa ci poteva fare, la poverina, se lo specchio era rotto? E cosa può farci, ora, se Berlusconi le offre una poltrona da sottosegretarario? Dovrà accettare.
Per il bene dell’Italia.

Le proporzioni epiche di questa chiara, lampante ed indiscutibile vittoria politica del Governo e della maggioranza, lasciano ora aperti due possibili scenari, che vedono nella pronuncia della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento uno snodo fondamentale.
Sentenza che, a causa del clima surriscaldato degli ultimi giorni e per evitare che ne venisse data una lettura politica, è stata infatti genialmente spostata dal 14 dicembre a gennaio. Proprio quando dalla decisione della Corte dipenderà il futuro del Governo e quando, dunque, il clima sarà indubitabilmente disteso.

In base al verdetto della Consulta, Berlusconi avrà di fronte due alternative.
Nel caso in cui la Corte bollasse la legge come incostituzionale – ipotesi sostenuta dalla stragrande maggioranza dei giuristi – il Premier si giocherà il tutto per tutto chiedendo elezioni anticipate, potendo contare su una legge elettorale che lo favorisce e che fa invidia a quella con cui il listone fascista, nel 1924, ottenne la maggioranza in Parlamento.
Nel caso in cui la Corte desse il via libera al legittimo impedimento, Berlusconi vivacchierà fino ad ottobre 2011 - data in cui scadrà lo scudo per i suoi processi - cercando di allargare la maggioranza nell’unico modo che conosce. A quel punto si apriranno due strade: o l’approvazione del lodo Alfano (in)Costituzionale, per la quale è necessario che la campagna acquisti vada a buon fine, o nuove elezioni.
Il tutto, come sempre, nell’interesse e per il bene dell’Italia.

Viva l’Italia.

domenica 5 dicembre 2010

Vittorio e Marcello: dalle stelle alle stalle. Di Silvio

Non mi chiedete chi sono i politici compromessi con la mafia. Se rispondessi, potrei destabilizzare lo Stato
(T. Buscetta)




E' il 1974. Nixon si dimette per lo scandalo Watergate, la ABC trasmette la prima puntata di Happy Days, l’Italia piange gli otto martiri della strage neofascista di Piazza della Loggia. Un uomo varca per la prima volta il cancello di Villa San Martino, Arcore. Casa Berlusconi.
Occhialoni da vista in viso, accento siciliano, sguardo da duro. Il suo nome è Vittorio Mangano, il suo curriculum ricco di arresti e denunce. Berlusconi dice di averlo assunto come stalliere. E in effetti la splendida residenza appena prelevata a un prezzo stracciato dalle mani di Annamaria Casati Stampa, un’orfana minorenne, ospita, all’interno dello sterminato parco che la circonda, un maneggio.
C'è il maneggio, dunque, e c’è il fattore. Mancano, però, i cavalli. E mancheranno per tutti i due anni di permanenza dell'oscuro personaggio in villa.

Due anni che Mangano, raggiunto da moglie e figli ad Arcore, non trascorre tra biada e selle, ma vivendo a stretto contatto con il Cavaliere e la sua famiglia: porta i suoi figli a scuola, cena regolarmente allo stesso tavolo di Silvio anche in presenza di ospiti. Qualche volta invita pure dei suoi amici siciliani: secondo diversi pentiti, altro non sono che mafiosi latitanti.
Ogni tanto il soggiorno si interrompe. In ballo non ci sono corse equestri, ma i postumi della vita siciliana: due condanne definitive per ricettazione e porto abusivo di coltello.
Scontate in carcere la pena, Mangano torna a casa di Silvio, che, colto dal suo proverbiale spirito filantropico-garantista, lo riaccoglie a braccia aperte entrambe le volte. Che volete, sò ragazzi!
Berlusconi non fa una piega nemmeno quando i carabinieri lo avvisano che il suo inquilino-fattore è in realtà il basista di un tentativo di rapimento ai danni di un amico di lunga data del Cavaliere. Non c’è dunque da stupirsi se Silvio chiude un occhio anche quando dalla villa spariscono quadri, gioielli ed altri oggetti di valore: semplici rimborsi spese.

In realtà Berlusconi, che stupido non è, Mangano lo conosce eccome. La decisione di ospitarlo ad Arcore – come afferma il Tribunale di Palermo – è stata presa durante un incontro avvenuto negli uffici dell’Edilnord a Milano. Presenti Berlusconi e tre boss mafiosi di primissimo piano: Francesco di Carlo, boss di Altofonte che racconterà dell’incontro ai magisrati, Mimmo Teresi, boss della famiglia di Santa Maria del Gesù, e Stefano Bontate, il boss dei boss, il capo di Cosa Nostra che morirà ammazzato qualche anno dopo per mano dei Corleonesi di Totò Riina. Artefice dell’incontro Marcello Dell’Utri, amico intimo di Berlusconi, che trova nella mafia il riparo ideale per la sicurezza del Cavaliere. Secondo la sentenza della Corte d’Appello di Palermo che lo condanna a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, Dell’Utri è stato l’intermediario che ha permesso a Cosa Nostra di estorcere favori e denaro a Berlusconi e alle sue aziende. In pratica il Cavaliere, preoccupato dai sequestri e dalle minacce della mafia, non si sarebbe rivolto ai Carabinieri e alla magistratura per chiedere protezione, ma alla mafia stessa. Questione di gusti.

Nel 1976, due anni dopo il suo arrivo, Mangano lascia per sempre Villa San Martino. Ma Dell’Utri non lo abbandona. Marcello, che tra gli anni '70 e '80 partecipara ad almeno 2 cene tra boss mafiosi di primo livello, riesce a farsi intercettare dai carabinieri mentre discute al telefono con Mangano di cavalli da recapitare in albergo – secondo Paolo Borsellino quando Mangano parla di cavalli intende partite di eroina – e ad incontrare per almeno 2 volte (nel novembre del 1993, mente lavora alla creazione di Forza Italia) il boss mafioso, reduce da una condanna a 10 anni per traffico di droga (non a caso Borsellino lo definisce come la “testa di ponte di Cosa Nostra al nord” per il traffico di droga). Nuovamente arrestato nel ’95, Mangano subirà altre 3 condanne definitive: nel ’99 verrà condannato a 15 anni per droga e ad altri 15 per estorsione; nel 2000 verrà condannato all’ergastolo per duplice omicidio. Morirà in carcere il 23 luglio dello stesso anno. Hai capito questi fattori?
Berlusconi sembra invece volersi lasciare alle spalle questo ingombrante passato. Che, tuttavia, stando almeno alle dichiarazioni del finanziere Filippo Rapisarda e di alcuni pentiti, qualche segno lo lascia. Come i 113 miliardi di lire di provenienza sconosciuta (circa 250milioni di euro attuali) che tra il 1975 ed il 1983 rimpinguano le holding della Fininvest. Da dove vengono questi soldi? E’ il tesoro di Stefano Bontate, come sostengono i pentiti? Non lo sapremo mai. Il 26 novembre 2002, quando i giudici di Palermo entreranno a Palazzo Chigi per porgli questa semplice domanda chiarificatrice, Berlusconi si avvarrà della facoltà di non rispondere.

Chi è, allora, Silvio Berlusconi? Un complice inconsapevole? Una vittima inerme? O un imprenditore colluso? Domande che non trovano risposte. A meno che non si voglia dare retta a Frank Coppola, celebre mafioso degli anni ‘60 che, interrogato da un magistrato su cosa fosse realmente la mafia, rispose: “Poniamo che ci sia un concorso per un pubblico ufficio e ci siano tre candidati: uno colluso, uno stupido e uno molto vicino al governo. Vincerà sempre quello stupido.

Questa è la mafia”.