“Ci pisciano in testa e poi ci dicono che piove”
(M. Travaglio)
I recenti scontri tra studenti e forze dell’ordine, espressione del profondo disagio di intere generazioni, hanno fatto spuntare tutt'a un tratto una specie finora sconosciuta: quella dei propagandhisti.
Avete capito bene. Non è un’errore di scrittura, ma il nuovo prodotto rigorosamente “made in Italy” partorito dalla nostra classe dirigente. Si divide in tre gruppi e comprende tutti quei personaggi che sfruttano a fini propagandistici le categorie del pensiero non violento di derivazione Gandhiana.
Il primo gruppo è composto da quelli che ci credono (alias “quelli che ci sono”): sono i seguaci dell’evangelico “porgi l’altra guancia”, insegnamento che prendono a modello più quando le danno che quando le prendono. Anche perché loro non le prendono mai.
I propagandhisti del primo tipo, infatti, compongono lo sterminato universo dei “moderati”, ovvero tutti quelli che, per indole o più prosaicamente per culo, non si sono mai trovati in situazioni che ingenerassero in loro il genuino e legittimo desiderio di protesta. Sono quelli che “tutto va bene” perché a loro va tutto bene. Sono quelli che ti dicono cos’è giusto e cos’è sbagliato fare perché sono illuminati dal verbo del Signore (a proposito: auguri a Lui e a questo blog, che compie un anno!!). Sono quelli che “la violenza è sempre sbagliata”, non tanto perché la violenza sia effettivamente sempre sbagliata, ma perché è più facile e bello da dire e non comporta il faticoso esercizio del pensiero critico. Sono quelli per cui la bandiera della pace diventa il più qualunquista dei simboli, che rende sordi alle rimostranze dei popoli e ciechi di fronte alle differenti (e magari legittime) ragioni della violenza. Sono quelli che se non avrai la pensione, un posto sicuro e una casa, non devi gridare, sennò poi si sveglia Napolitano.
Il secondo gruppo è composto da quelli che fanno finta di crederci (alias “quelli che ci fanno”): a loro non frega nulla né dei motivi né dell’accettabilità morale della violenza (anche perché, per loro, la moralità è più spesso un ostacolo che un valore). I propagandhisti del secondo gruppo, dunque, non si chiedono né perché ci sia la violenza né se essa sia giusta o sbagliata: fanno semplicemente i loro interessi. Spesso sono più violenti dei violenti, ma la loro violenza assume forme e modalità che non urtano la sensibilità dei propagandhisti del primo gruppo.
Questa specie ha nel Parlamento il suo habitat naturale. Qui, per uccidere il futuro o la libertà di un’intera nazione basta premere un pulsante. Violenti sì, dunque. Ma con stile.
Il terzo gruppo, infine, è il più sensazionale. E’ composto da tutti quelli che, non avendo una faccia, non temono di perderla (alias “quelli che c’hanno fatto”). Sono quelli che hanno razzolato male e che ora predicano bene. Sono gli smemorati, quelli che, a sentirli parlare, sprangate e arresti diventano “peccati di gioventù” e che “durante il fascismo tutti vivevano felici e contenti”. Sono quelli che ieri stavano dalla parte delle barricate e oggi stanno dalla parte delle forze dell’ordine e dello stato, che credono di rappresentare.
Qui di seguito trovate una breve descrizione di tre rappresentanti nonché esemplari purissimi di questa categoria.
Maurizio Gasparri: prima militante e poi deputato del Movimento Sociale Italiano, è uno dei figli politici di Giorgio Almirante, il gerarca fascista firmatario delle leggi razziali e del manifesto che condannava alla fucilazione tutti i partigiani del grossetano che non avessero deposto le armi e non si fossero prontamente arresi.
Gasparri, che oggi recita più la parte del pazzo visionario che non quella di capogruppo dei senatori Pdl (del resto i lineamenti e lo sguardo non proprio sveglissimo lo rendono perfetto per il ruolo), ripete da giorni e in modo compulsivo proposte sconsiderate, come l’arresto preventivo dei manifestanti. Dimenticando il suo passato (?) neofascista, quando, da deputato dell’MSI, si mischiava ai saluti romani e ai “boia chi molla” di un corteo del Fronte della Gioventù che assediava la Camera e minacciava alcuni deputati.
Smemorato è anche Ignazio Benito Maria La Russa, figlio di un senatore missino e fratello di Romano, oggi assessore regionale lombardo all’industria. L’attuale ministro della difesa, protagonista di una scenata isterica antiviolenza ad annozero, dimentica alcuni fatti.
Come quando, nel 1973, durante una manifestazione non autorizzata del Fronte della Gioventù, di cui egli era uno dei principali leader, e di altri gruppi neofascisti, una bomba a mano (!!) uccise il poliziotto Antonio Marino e ne ferì altri 12.
O come quando, sempre nelle manifestazioni degli anni ’70, Ignazio Benito era solito farsi accompagnare da un pastore tedesco. Il cane, come da lui stesso confermato, abbaiava non appena sentiva la parola “compagno”. Un seguace del Mahatma.
Ma il primato della poca memoria va a Gianni Alemanno, il sindaco di Roma che “il centro storico nun se tocca”. Gianni, oltre ad essere il suocero di Pino Rauti, storico leader dell’estrema destra considerato tra i “responsabili morali” della strage neofascista di Piazza della Loggia, ha un passato non proprio da ragazzo casa e chiesa. Anche se non verrà mai condannato per i reati contestati, negli anni ’80 viene arrestato per ben tre volte: nell‘81 per l’aggressione ad un giovane di sinistra, nell’82 per aver lanciato una molotov contro l’ambasciata dell’URSS e nell’89 per resistenza aggravata a pubblico ufficiale.
Partoriti dalle bocche dei propagandhisti, dunque, i più o meno condivisibili moniti contro la violenza diventano fumo negli occhi, semplici e subdoli espedienti finalizzati ad ignorare (propagandhisti del primo tipo), isolare (propagandhisti del secondo tipo) o reprimere (propagandhisti del terzo tipo) il dissenso.
Il messaggio è chiaro: se la vostra casa sta bruciando, l’acqua dovete usarla per pulirvi le mani. Morite, ma con stile.
Del resto, siamo italiani, noi.