La carne è debole, l’uomo pure: fra tradimenti, relazioni clandestine e scappatelle più o meno abituali, la storia politica occidentale ha visto il filo pubblico della vita degli stati intrecciarsi di frequente con quello privato delle vicende sessuali e amorose dei rispettivi leaders, dando vita ad un groviglio che ha rischiato di segnare – e che, a volte, ha segnato – il destino politico dei protagonisti e dei rispettivi paesi di appartenenza.
Dall’amore extraconiugale tra Cleopatra e Antonio – la cui infedeltà ai danni della sorella di Ottaviano provocò la reazione militare del triumviro romano e dell’Impero – al mancato riconoscimento da parte della Chiesa Cattolica del matrimonio tra Enrico VIII e Anna Bolena – vero e proprio casus belli dello scisma anglicano -, sono molti gli esempi storici di questa pericolosa sovrapposizione tra pubblico e privato.
Per quale motivo, allora, amori inconfessabili, tradimenti e scandali sessuali destano nell’opinione pubblica uno scalpore tale da minacciare la sopravvivenza politica dei personaggi coinvolti? Quali sono le zolle da non calpestare nel campo minato della politica?
Per capirlo dobbiamo distinguere tra le varie possibili manifestazioni dello scandalo sessuale e analizzarne, di volta in volta, le principali ripercussioni politiche, operando una sorta di fenomenologia del sexy-gate.
Una prima manifestazione del fenomeno è la relazione extraconiugale, evocatrice della dimensione nobile e romantica del sentimento, della passione e, talvolta, dell’amore. Dall’appassionata e tragica relazione tra Claretta Petacci e Mussolini, alla love story tra Marilyn e i Kennedy (JFK prima e Robert poi), fino alla segretissima relazione di Mitterand con Anne Pingeot, da cui nacque la piccola Mazarine, la relazione extraconiugale risulta il genere di sexy-gate più “frequentato” dai politici del ‘900. Addirittura, si dice che Mitterand, nel tentativo di nascondere l’identità della figlia illegittima, fece recapitare una piccola bara bianca davanti alla casa di Jean Hallier, lo scrittore neo-papà che minacciava di svelare l’inconfessabile segreto presidenziale.
Perché tanta paura? Perché l’infedeltà coniugale, oltre ad essere una possibile fonte di instabilità nella vita privata di un leader che minaccia di ripercuotersi negativamente sulla rispettiva azione politica, rappresenta la violazione ed il tradimento di quel vincolo di fiducia – in questo caso tra l’interessato e la consorte – che, da un momento all’altro, può riflettersi negativamente sul rapporto fiduciario tra politico ed elettore, minandone le fondamenta.
Una seconda manifestazione del sexy-gate riguarda lo scandalo sessuale in senso stretto. In questo caso è la dimensione peccaminosa e boccaccesca del “sotto le lenzuola” a conquistare il centro della scena, rivelando le debolezze e le (inaspettate) abitudini sessuali del potente e macchiandone per sempre, più di quanto non possano fare decine di campagne ad hoc, l’immagine pubblico-politica.
Anche se il “vizietto” accomuna i politici di svariate generazioni (indimenticabile, ad esempio, l’ira della moglie di Crispi che, in una furiosa lettera al segretario particolare del marito, lo invitava a “smettere di portare puttanelle al Presidente”), negli ultimi anni, complice anche il crescente interesse dei media per le vicende private dei politici, gli scandali sessuali divenuti di pubblico dominio si sono moltiplicati.
Essi aggiungono al pericolo di una possibile rottura del legame fiduciario con l’elettorato – lo stesso Clinton si salvò solo perché, tecnicamente, non mentì alla nazione – la minaccia di rendere il politico incompatibile con le posizioni precedentemente sostenute.
Il senatore Repubblicano dell’Idaho Larry Craig, ad esempio, fu costretto a dimettersi dopo aver cercato di fare sesso con un poliziotto in borghese in un bagno pubblico. Era un feroce oppositore dei matrimoni gay.
Questi scandali, inoltre, risvegliano le coscienze “puritane”, che in tema di peccati carnali sono in grado di ridestarsi dallo stato di assopimento che generalmente le attanaglia in un attimo, dimostrandosi tutt’a un tratto pugnaci e battagliere. Tanto da costringere alle dimissioni il politico coinvolto nel sexy scandalo, come accadde al ministro degli esteri finlandese Ilkka Kanerva nel marzo del 2008, quando i contenuti “piccanti” dei circa 200 sms inviati ad una spogliarellista vennero a galla.
C’è infine lo scandalo sessuale che, assumendo rilevanza penale, rappresenta una minaccia personale – è infatti a rischio la libertà fisica dell’individuo – per il politico coinvolto.
Un esempio recente riguarda il presidente israeliano Moshe Katsav, autosospesosi dopo essere stato accusato, tra le altre cose, di violenze sessuali.
Bacchettoni, moralisti, o più semplicemente desiderosi di una maggiore coerenza e correttezza da parte dei politici, gli elettori dimostrano dunque una certa sensibilità allo scandalo politico-sessuale, rendendolo una vera e propria minaccia per i rappresentanti delle istituzioni. I quali, in virtù della conseguente necessità di nascondere l’inconfessabile, si pongono in quella condizione di ricattabilità che rappresenta il denominatore comune tre le diverse manifestazioni del sexy-gate.
Il caso Ruby porta in dote a Berlusconi tutte le possibili minacce appena viste: compromissione del legame di fiducia con gli elettori, incoerenza rispetto alle proprie posizioni politiche, immoralità, ricattabilità e risvolti penali.
Il fatto che il Premier, stando ai sondaggi, non ne abbia risentito dal punto di vista del consenso elettorale, rappresenta già una grande vittoria.
Per lui.