“Per i nemici le leggi si applicano. Per gli amici si interpretano”
(G. Giolitti)
Lo dicevo, io, che la sostanza era più importante della forma. Quando i vigili mi multavano per sosta su un passaggio pedonale in zona disabitata, quando scrivevo scuola con la q, quando dimenticavo di iscrivermi agli esami, quando arrivavo tardi al lavoro.
Mi hanno sempre risposto picche.
Già, direte voi: “non hai il 40% (o il 60% o il 75%, a seconda del grado di sottomissione al capo della fonte che lo riporta) dei consensi del popolo”. Tradotto: “non conti un cazzo, quindi sei costretto a rispettare quelle odiose formalità che voi poveracci chiamate leggi”.
Ovviamente loro non ve lo dicono così.
Vi dicono che bisogna garantire la democraticità della competizione elettorale, che bisogna consentire la partecipazione delle diverse forze politiche, che si deve impedire alla magistratura di scrivere le liste elettorali, ma soprattutto che non si può negare al (percentuale a scelta...chi offre di più??) dell'elettorato il diritto di votare per il proprio partito di riferimento.
Vi dicono che bisogna garantire la democraticità della competizione elettorale, che bisogna consentire la partecipazione delle diverse forze politiche, che si deve impedire alla magistratura di scrivere le liste elettorali, ma soprattutto che non si può negare al (percentuale a scelta...chi offre di più??) dell'elettorato il diritto di votare per il proprio partito di riferimento.
Sulle prime tre considerazioni non mi dilungo. Mi fa solo sorridere sentire parlare di democrazia e di (equa) partecipazione delle diverse forze politiche da chi, oltre ad essere capo del governo e leader (o meglio proprietario) del partito di maggioranza, attacca costantemente magistratura ed istituzioni di garanzia in barba a Montesquieu ed alla sua tripartizione dei poteri dello stato, attraverso un uso militare delle sue 5 reti televisive nazionali (3 le possiede, 2 le controlla direttamente) e del maggiore gruppo editoriale del paese.
Sulla quarta, invece, si possono fare alcune considerazioni.Innanzi tutto l'esclusione delle liste, contro cui il governo si è mosso, non nega alcun diritto ai cittadini.
Al contrario garantisce che la competizione elettorale avvenga secondo all'interno di un preciso insieme di regole, valide (ed uguali) per tutti.
L'esclusione delle liste pdl in Lazio e Lombardia non è un gesto eversivo da parte di magistrati politicizzati: è un atto dovuto che tutela lo stato di diritto e la democrazia. Mi chiedo dove fossero questi paladini della democrazia, questi maestri della “sostanza oltre la forma”, questi scudieri dei diritti civili quando liste di liberi cittadini o di pariti “minori” non potevano presentarsi alle elezioni, formalmente perchè non avevano raggiunto il numero minimo di firme, sostanzialmente perchè subivano la loro condizione di subalternità nei confronti dei partiti “maggiori”.
Al contrario garantisce che la competizione elettorale avvenga secondo all'interno di un preciso insieme di regole, valide (ed uguali) per tutti.
L'esclusione delle liste pdl in Lazio e Lombardia non è un gesto eversivo da parte di magistrati politicizzati: è un atto dovuto che tutela lo stato di diritto e la democrazia. Mi chiedo dove fossero questi paladini della democrazia, questi maestri della “sostanza oltre la forma”, questi scudieri dei diritti civili quando liste di liberi cittadini o di pariti “minori” non potevano presentarsi alle elezioni, formalmente perchè non avevano raggiunto il numero minimo di firme, sostanzialmente perchè subivano la loro condizione di subalternità nei confronti dei partiti “maggiori”.
In secondo luogo il decreto legge crea un precedente che mina le fondamenta dello stato democratico: il partito più grande, per il solo fatto di essere tale, è più forte delle leggi (che, solo per lui, vanno “interpretate”). Il decreto “interpretativo” proposto dal governo non è infatti una sanatoria, ovvero un provvedimento che elimini l'obbligo dei i partiti che vogliano prendere parte alla competizione elettorale di presentare i requisiti formali previsti per legge. In questo caso, l'assunto del prevalere della sostanza rispetto alla forma sarebbe quantomeno egualitario. Il decreto impone invece che la “sanatoria” valga solo per quei partiti che possano dimostrare la loro presenza all'interno del tribunale alle ore 12 del 27 Febbraio (termine di presentazione delle firme) e le cui liste siano viziate da errori formali (e il cui leader è un tipetto basso, dal cranio bitumato e con tessera P2 in tasca, potevano aggiungere in un impeto di imparzialità).
E le centinaia di liste che, negli anni, sono state puntualmente cassate per gli stessi motivi? E le migliaia di elettori che si sono visti negato il diritto di votare per il proprio partito? Non contano nulla. Tanto sono piccoli e non possono ribellarsi.
Ora: che una maggioranza infarcita di (ex?) fascisti, piduisti e tangentisti ci spieghi che cos'è la democrazia, è già abbastanza desolante. Ma il fatto che la spacci per il soverchiamento della maggioranza ai danni delle minoranze, che in realtà, proprio per il deficit fisiologico che scontano nei confronti delle forze maggiori in termini di mezzi e risorse, dovrebbero essere quelle maggiormente tutelate, cancella definitivamente qualsiasi speranza. Tantopiù se il Presidente della Repubblica, il Vittorio Emanuele III del nuovo millennio, scambia il suo ruolo per quello di scrivano al servizio del governo (e non della Costituzione), tanto da far rimpiangere l'impresentabile Cossiga.
Ma ciò che più irrita è l'incompetenza di una classe politica trasformata in uno stuolo di portaborse e di raccomandati, è l'arroganza di un potere ormai totalitario e che, in quanto tale, non contempla la possibilità di pagare le conseguenze delle proprie incapacità, violentando (o meglio “interpretando”) le leggi in funzione dei propri, soliti, interessi.
Il messaggio è chiaro: “La palla è mia, e decido io chi gioca”.
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