"È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora".
(W. Churchill)
L'altra sera è nata un'interessante discussione intorno al concetto di democrazia. Questo post cerca di rispondere ai diversi interrogativi emersi durante il dibattito e che, al di là delle opinioni e degli orientamenti personali, mi hanno offerto l'occasione di confrontarmi con altri punti di (s)vista e di trarre alcune preziose riflessioni riguardo alla desiderabilità della democrazia ed alla sua effettiva (o solo presunta?) capacità di promuovere il benessere e lo sviluppo sociale. A tal proposito colgo l'occasione per ringraziare Jacopo e gli altri ragazzi presenti (dai quali, ahimè, non ricordo il nome), auspicando il proseguimento della discussione su questo blog.
Letteralmente, democrazia significa “governo del popolo”: un sistema politico in cui i governanti coincidono con i governati sul modello della antica Atene, primo vero esempio storico di democrazia diretta. Nel corso della storia il concetto di democrazia ha però allargato i propri orizzonti. L'attuale concezione di democrazia è derivazione diretta delle rivoluzioni di fine '700: la rivoluzione francese, che ha posto l'accento sui diritti umani e politico-civili e la rivoluzione americana, che ha applicato per la prima volta il concetto di sovranità popolare. Benjamin Franklin, uno dei principali padri costituenti degli Stati Uniti d'America, oltre che governo del popolo, considera la democrazia come governo per il popolo e derivante dal popolo, introducendo così il concetto di sovranità popolare (governo derivante dal popolo, sua diretta emanazione) esercitato attraverso la delega di responsabilità ai cosiddetti “governanti” (tenuti a governare per il popolo).
Il concetto di sovranità popolare, centrale per comprendere la natura e l'essenza della democrazia, consente di confutare quel paradosso che rappresenta una delle più frequenti critiche rivolte alla democrazia: la possibilità che la maggioranza, democraticamente, voti per il passaggio ad un regime non democratico. L'errore fondamentale del paradosso risiede nella mancata considerazione di come una delle caratteristiche fondanti delle moderne democrazie sia la tutela delle minoranze. La sovranità è infatti prerogativa del popolo tutto, mai di una sua sola parte, neppure se maggioritaria. La volontà della maggioranza non può dunque prevaricare i diritti della minoranza: può decidere, ma solo nei limiti previsti dalla legge (e/o dalla costituzione). Nella nostra Costituzione, ad esempio, la natura repubblicana del nostro stato non è modificabile (art. 119). E' bene ricordarsi questo “dettaglio” quando sentiamo una (o più) parte politica arrogarsi il diritto di cambiare le regole del vivere civile, di sottrarsi alla legge, ecc.. in virtù di una (illegittima) legittimazione popolare.
La presenza e la salute dello stato di diritto è dunque, contemporaneamente, garanzia e requisito essenziale di ogni democrazia. Nello stesso tempo, però, riduce lo spettro di attività dei cittadini, in quanto distingue tra azioni lecite (concordi al diritto) ed illecite (contrarie al diritto). Dato che non esiste democrazia senza stato di diritto, ed è questa la seconda “accusa” alla democrazia, essa non costituirebbe un regime politico desiderabile in quanto, inevitabilmente, inciderebbe in modo restrittivo sulla libertà dei propri cittadini. E questo è un fatto vero. Ma, aggiungo io, inevitabile. Tralasciando le considerazioni filosofiche su cosa sia libertà e su quali elementi essa si fondi (libertà come anarchia o libertà come rispetto reciproco?), non (solo) una pessimistica concezione antropologica, ma la storia, dimostra e testimonia l'indole tutt'altro che pacifica e coscienziosa dell'uomo. Il ritorno allo stato di natura, ad una società senza stato, si risolverebbe in un uomo contro uomo, nell' “homo homini lupus” (l'uomo è lupo per l'uomo) ripreso nel pensiero di Thomas Hobbes. Rinunciare ad una parte delle proprie libertà in favore di uno stato che, contemporaneamente, rappresenti e faccia rispettare la legge, appare dunque, a mio modo di vedere, una rinuncia essenziale in quanto finalizzata ad evitare il caos sociale e l'inevitabile (anche qui, a mio modo di vedere) uomo contro uomo che caratterizzerebbe una società senza stato.
Stabilito questo, non esiste un sistema politico “ideale” in assoluto: il grado di desiderabilità e virtù di un sistema politica dipenderà direttamente dai singoli e soggettivi orientamenti politico-filosofici individuali. Chi considera come valori fondanti l'ordine sociale, la disciplina, ecc.. propenderà per regimi autoritari classici; chi considera come valore fondante l'uguaglianza sostanziale, la solidarietà sociale, ecc.. propenderà per sistemi collettivistici di tipo comunistico.
La forza e la grandezza della democrazia, o meglio di come la democrazia ideale dovrebbe essere, consiste, a mio parere, nel lasciare l'uomo completamente libero nella sua autodeterminazione economica, sociale e politica (la nostra costituzione recita, all'articolo 3, “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico e sociale che[..]impediscono il pieno sviluppo della persona umana[..]).
Consapevole della diversità (e legittimità) dei singoli orientamenti individuali (chi, ad esempio, considera l'uguaglianza sostanziale un valore più importante dell'autodeterminazione non converrà con me sul punto precedente), mi limito a rispondere ad un paio di punti emersi durante il dibattito.
1) Un'uguaglianza sostanziale imposta, artificiale, non è meno discriminatoria di quanto non sia la disuguaglianza sociale nelle società capitalistiche. Cambiano solo i soggetti interessati. Nelle società capitalistiche, ai “deboli” sarò impedito il processo di ascesa sociale; nelle società fondate sull'uguaglianza sostanziale, a tutti i cittadini sarà impedita qualsiasi forma di ascesa sociale. Sarà garantita la libertà dal bisogno ma sarà annullata la libertà di autodeterminazione, soprattutto economica. Anche qui, questione di gusti.
2) La “dittatura del proletariato” auspicata da Marx, non assomiglia al “governo del popolo”a cui fanno riferimento i sistemi democratici. Sorvolando sulle differenze tra i termini dittatura e governo, che talvolta possono sovrapporsi, esiste una differenza sostanziale: nel primo caso si fa esplicito riferimento alla sopraffazione di un parte del popolo (il proletariato) ai danni di un'altra parte del popolo (la borghesia). Nel secondo caso si fa invece riferimento alla totalità dei cittadini (il popolo), depositari della sovranità e che dunque, almeno formalmente, vengono considerati come soggetti politicamente paritari.
Anche a me piacerebbe vivere in una società eguale, dove “ognuno dà secondo le proprie capacità e riceve secondo i propri bisogni”.
Ma sono pessimista. E, dunque, democratico.
Se la democrazia è questa qua, quella in cui viviamo tutti i giorni, fra razzismo xenofobia, fra nuovi e vecchi fascismi, fra poverta e malessere sociale, IO NON SONO DEMOCRATICO. Se la democrazia è quella del post '45, quella gestita dagli americani e dalla futura dc IO NON SONO DEMOCRATICO. Se la democrazia è quella degli anni di piombo, quella delle bombe nelle piazze e sui treni IO NON SONO DEMOCRATICO.
RispondiEliminail termine democrazia(governo del popolo) deriva dal greco démos popolo e cràtos potere,quindi questa definizione di democrazia come "potere del popolo" non si discosta molto dalla definizione marxista di dittatura del proletariato.
Non mi sento democratico,o meglio non credo in questa democrazia e non credo che chi sui monti e nelle città ha combattuto sperava in questa democrazia. Perché si, i partigiani volevano e combattevano per la democrazia,”Allora noi vogliamo un'altra Italia, senza camicie nere, senza manganelli, senza orbace, un'Italia di cittadini la cui opinione sia libera, qualunque essa sia. Combattiamo il fascismo e tutte le menzogne che rappresenta perché spariscano per sempre.” scriveva Giovanni Pesce;tutto quello che non voleva, tutto quello contro cui ha combattuto rappresenta l'Italia di oggi.
Questo è quello che scrive il partigiano Giorgio Bocca ( giustizia e libertà) nella prefazione di Partigiani della montagna, l'ultimo libro che ho letto:
“Ma la democrazia dov'è? Che democrazia è questa autoritaria che si va affermando nel nostro paese? Ai suoi sostenitori basta che il governo non apra i suoi lager, che non fucili gli oppositori, che non soffochi tutte le voci critiche per gridare che la democrazia è salva. Ma la mutazione autoritaria è sotto gli occhi di tutti, anche dei rassegnati o indifferenti: i personaggi della televisione invisi al potere cacciati o tacitati, gli autori dei libri all'indice berlusconiano esclusi dalla televisione e ignorati dai giornali, i dirigenti di qualsiasi ufficio o istituzione, dalle fiere campionarie agli enti lirici, scelti dal padrone, i disegnatori satirici ostili al potere emarginati, i cortigiani imposti. “
Ecco perché la democrazia è fallita ecco, ecco perché non credo più nella democrazia, nella democrazia, quella dove si delega, dove si vota e poi ognuno si fa i cazzi propri non ci credo piu, perché dietro la democrazia odierna, dove regna disuguaglianza sociale e assenza di libertà, si cela il fascismo, si un fascismo diverso da quello di Mussolini ma certo più forte e più subdolo, un fascismo che si nasconde dietro alla possibilità di votare e scegliere i propri canditati ma che ogni giorno si fa sempre più forte destra sinistra che sia.
Se poi democrazia fosse davvero uguaglianza e libertà io sarei D*********O (proprio non riesco a scriverlo)
non mi sono firmato lo faccio ora
RispondiEliminaJacopo