Articolo scritto per gli amici di Pane&Politica (www.panepolitica.it), portale dedicato alla comunicazione ed al marketing politico. Fateci un salto, merita davvero!
In principio fu per annunciare la “discesa in campo”: contro “il cartello delle sinistre”, i “nostalgici del comunismo” e i corrotti della Prima Repubblica. Oggi, 17 anni dopo, il genere del videomessaggio viene rispolverato da Berlusconi per lanciare un feroce j’accuse contro i magistrati “politicizzati” e i pm “persecutori”.
Qualche rughe in più, viso più rotondo – ma stessa identica capigliatura rispetto a quella del 1994, fanno notare i maligni – il faccione del Cavaliere è infatti riapparso nelle case degli italiani per ben due volte nel giro di pochi giorni.
Per uscire dall’angolo del ring a cui parte della stampa sembrava averlo inchiodato nei giorni immediatamente successivi all’esplosione del Caso Ruby-parte seconda, il Cavaliere ha infatti riabbracciato il genere comunicativo che, diciassette anni fa, gli spalancò le porte della politica italiana. Era l’ormai lontano gennaio del ’94 quando l’allora filiforme imprenditore brianzolo annunciava la sua candidatura alla guida del paese attraverso un monologo di una manciata di minuti in cui, da un lato, spiegava le ragioni della sua scelta, dall’altro, cercava di convincere gli elettori sull’opportunità di votarlo.
Due situazioni apparentemente slegate tra loro che il filo comune del videomessaggio sembra invece riavvicinare, evidenziando lo stesso, preciso obiettivo che sta alla base di queste scelta comunicativa: quello che i sociologi della comunicazione americani chiamano “going public”. Il termine individua l’ approccio comunicativo di tipo diretto ed im-mediato – ovvero privo dell’intermediazione dei media – tipico della comunicazione politica presidenziale made in USA. Un approccio che cerca di privare i mezzi di informazione del loro tradizionale ruolo di ponte comunicativo tra il politico e i cittadini, favorendo così la comunicazione diretta – anche se unidirezionale – tra questi due attori.
Ciò che cambia, e di molto, sono le motivazioni alla base di questa stessa scelta strategica.
Se nel ’94 il principale obiettivo del videomessaggio di Berlusconi era quello di far conoscere agli elettori il Silvio “politico” e di instaurare con essi un rapporto all’insegna della familiarità e dell’empatia, le ragioni della scelta questi giorni solo molto diverse.
In primo luogo c’è la volontà/esigenza di evitare il contraddittorio. Troppo delicata la questione, troppe e troppo imbarazzanti le rivelazioni trapelate sui giornali per risponderne dettagliatamente in pubblico – magari in un faccia a faccia televisivo – senza correre il rischio di uscirne con le ossa rotte. Il videomessaggio, invece, dà pieno spazio alle qualità retoriche e comunicative di Berlusconi e gli consente di tenere ben saldo in mano il timone della propria strategia difensiva. Che infatti – ed è questo la seconda ragione alla base della scelta – vira immediatamente sulla tesi del complotto dei Pm e della magistratura inquisitoria, consentendo a Berlusconi di spostare i termini del dibattito dal mare mosso delle inquietanti intercettazioni, alle acque più calme e favorevoli della tesi della “volontà persecutoria” dei pm.
Se digerita positivamente dall’opinione pubblica e dai suoi elettori, la tesi persecutoria potrebbe poi consentire al Cavaliere – e in questo caso saremmo di fronte all’ennesimo colpo da fuoriclasse da parte di Berlusconi – di rilanciare la posta nel tavolo da gioco della politica italiana.
Da un lato, perché fornirebbe ottimi argomenti alla tanto invocata “riforma della giustizia”, che consentirebbe al Cavaliere di mettersi al riparo da qualsiasi imprevisto giudiziario.
Dall’altro, perché permetterebbe a Berlusconi di polarizzare l’elettorato, impostando il dibattito della sempre più probabile campagna elettorale all’interno di una cornice di significato a lui favorevole: quella dell’attacco congiunto che l’asse procure-Fini-Casini-Sinistra (cit. “Il Giornale”) starebbe mettendo in campo per spodestarlo.
Il buon esito della scelta strategica di Berlusconi dipenderà probabilmente da due fattori.
Il primo riguarda il grado di efficacia con cui il fuoco mediatico “amico” saprà tranquillizzare l’elettorato di centro destra (soprattutto quello cattolico), accreditando presso l’opinione pubblica la tesi complottistica ed isolando/dividendo il fronte antiberlusconiano.
Il secondo riguarda la tenuta dell’alleanza con la Lega, i cui elettori sono sempre più irritati dall’immobilismo politico del governo e dal continuo procrastinarsi dell’approvazione del divin-federalismo.
La partita, dunque, è appena cominciata.
In principio fu per annunciare la “discesa in campo”: contro “il cartello delle sinistre”, i “nostalgici del comunismo” e i corrotti della Prima Repubblica. Oggi, 17 anni dopo, il genere del videomessaggio viene rispolverato da Berlusconi per lanciare un feroce j’accuse contro i magistrati “politicizzati” e i pm “persecutori”.
Qualche rughe in più, viso più rotondo – ma stessa identica capigliatura rispetto a quella del 1994, fanno notare i maligni – il faccione del Cavaliere è infatti riapparso nelle case degli italiani per ben due volte nel giro di pochi giorni.
Per uscire dall’angolo del ring a cui parte della stampa sembrava averlo inchiodato nei giorni immediatamente successivi all’esplosione del Caso Ruby-parte seconda, il Cavaliere ha infatti riabbracciato il genere comunicativo che, diciassette anni fa, gli spalancò le porte della politica italiana. Era l’ormai lontano gennaio del ’94 quando l’allora filiforme imprenditore brianzolo annunciava la sua candidatura alla guida del paese attraverso un monologo di una manciata di minuti in cui, da un lato, spiegava le ragioni della sua scelta, dall’altro, cercava di convincere gli elettori sull’opportunità di votarlo.
Due situazioni apparentemente slegate tra loro che il filo comune del videomessaggio sembra invece riavvicinare, evidenziando lo stesso, preciso obiettivo che sta alla base di queste scelta comunicativa: quello che i sociologi della comunicazione americani chiamano “going public”. Il termine individua l’ approccio comunicativo di tipo diretto ed im-mediato – ovvero privo dell’intermediazione dei media – tipico della comunicazione politica presidenziale made in USA. Un approccio che cerca di privare i mezzi di informazione del loro tradizionale ruolo di ponte comunicativo tra il politico e i cittadini, favorendo così la comunicazione diretta – anche se unidirezionale – tra questi due attori.
Ciò che cambia, e di molto, sono le motivazioni alla base di questa stessa scelta strategica.
Se nel ’94 il principale obiettivo del videomessaggio di Berlusconi era quello di far conoscere agli elettori il Silvio “politico” e di instaurare con essi un rapporto all’insegna della familiarità e dell’empatia, le ragioni della scelta questi giorni solo molto diverse.
In primo luogo c’è la volontà/esigenza di evitare il contraddittorio. Troppo delicata la questione, troppe e troppo imbarazzanti le rivelazioni trapelate sui giornali per risponderne dettagliatamente in pubblico – magari in un faccia a faccia televisivo – senza correre il rischio di uscirne con le ossa rotte. Il videomessaggio, invece, dà pieno spazio alle qualità retoriche e comunicative di Berlusconi e gli consente di tenere ben saldo in mano il timone della propria strategia difensiva. Che infatti – ed è questo la seconda ragione alla base della scelta – vira immediatamente sulla tesi del complotto dei Pm e della magistratura inquisitoria, consentendo a Berlusconi di spostare i termini del dibattito dal mare mosso delle inquietanti intercettazioni, alle acque più calme e favorevoli della tesi della “volontà persecutoria” dei pm.
Se digerita positivamente dall’opinione pubblica e dai suoi elettori, la tesi persecutoria potrebbe poi consentire al Cavaliere – e in questo caso saremmo di fronte all’ennesimo colpo da fuoriclasse da parte di Berlusconi – di rilanciare la posta nel tavolo da gioco della politica italiana.
Da un lato, perché fornirebbe ottimi argomenti alla tanto invocata “riforma della giustizia”, che consentirebbe al Cavaliere di mettersi al riparo da qualsiasi imprevisto giudiziario.
Dall’altro, perché permetterebbe a Berlusconi di polarizzare l’elettorato, impostando il dibattito della sempre più probabile campagna elettorale all’interno di una cornice di significato a lui favorevole: quella dell’attacco congiunto che l’asse procure-Fini-Casini-Sinistra (cit. “Il Giornale”) starebbe mettendo in campo per spodestarlo.
Il buon esito della scelta strategica di Berlusconi dipenderà probabilmente da due fattori.
Il primo riguarda il grado di efficacia con cui il fuoco mediatico “amico” saprà tranquillizzare l’elettorato di centro destra (soprattutto quello cattolico), accreditando presso l’opinione pubblica la tesi complottistica ed isolando/dividendo il fronte antiberlusconiano.
Il secondo riguarda la tenuta dell’alleanza con la Lega, i cui elettori sono sempre più irritati dall’immobilismo politico del governo e dal continuo procrastinarsi dell’approvazione del divin-federalismo.
La partita, dunque, è appena cominciata.
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