(G. Sartori)
L’altro giorno ho avuto un deja-vu. Proprio così: quell’inspiegabile combinazione di eventi e coincidenze che ti fa provare la strana sensazione di essere nel bel mezzo di una situazione o esperienza già vissuta in passato, mi ha percorso le membra, scuotendomi dalla testa ai piedi – non un grande tragitto, lo so.
Eravamo a cavallo tra la seconda metà degli anni ’80 e la prima metà degli anni ’90 quando un tondeggiante signore milanese, amante della bella vita – era un frequentatore abituale delle più note bische della “Milano da Bere” – e delle belle donne – alla sua amante Anja Pieroni regalò addirittura una casa, un’albergo e un canale televisivo – intratteneva cordiali e rapporti con un sanguinario dittatore libico che, quando non faceva massacrare e torturare centinaia di oppositori politici nelle carceri, predicava austerità, con il solo intento di rendere meno indigesta al suo popolo la situazione di indigenza e povertà a cui lo aveva condannato. L’amicizia tra i due era tale che, saputo della volontà americana di bombardare la residenza del dittatore, il paffuto signore milanese nonché Presidente del Consiglio dei Ministri italiano di allora, si precipitò ad avvisare il suo sodale, salvandogli la vita.
Qualche anno dopo, travolto da una mezza dozzina di scandali politico-giudiziari e preso letteralmente a monetine in faccia – insieme a buona parte dei parlamentari di allora – da una folla inferocita di elettori che gli chiedevano conto delle sue malefatte, scappò in Tunisia per evitare di finire in gattabuia.
Vent’anni dopo sento parlare di un tarchiato signore milanese – anch’egli Presidente del Consiglio, anch’egli amante della bella vita e delle belle donne, anch’egli al centro di numerosi scandali politico-economico-sessual-giudiziari – duramente contestato da una folla inferocita di elettori che gli chiedono conto delle sue malefatte, nonchè di un fitto lancio di monetine davanti al Parlamento.
Preoccupato dall’ipotesi di trovarmi vittima di una traslazione spazio-temporale, scopro che il cicciotto signore milanese si sta per recare in Tunisia. Ormai sconsolato, mi appiglio all’ultima speranza e guardo in direzione del cielo libico: niente da fare. Ancora bombe su Tripoli e faccione del riccioluto dittatore, che con i suoi deliranti monologhi cerca in tutti i modi di avvalorare le tesi di Lombroso, ancora in televisione. Nessuno stupore, dunque, quando apprendo che i due – il paffuto milanese e il dittatore – sono grandi amici che, in un recente passato, hanno condiviso tutto – ma proprio tutto, a quanto sembra.
E, invece, proprio quando ho ormai deciso di recarmi a Chernobyl per vedere coi miei occhi l’esplosione del reattore numero quattro – ebbene sì: allora, nel 1986, queste cose succedevano ancora – scopro l’imponderabile: il dittatore libico è si lo stesso di 25 anni fa, ma i due milanesotti sono due persone diverse. Uno è morto ed è in stato di decomposizione. L’altro, pur essendo in evidente stato di decomposizione, è ancora vivo e vegeto. Oltre a questa sostanziale differenza, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi differiscono per altre due caratteristiche. La prima è che il primo portava gli occhiali, la seconda è che il primo, nel bene (poco) e nel male (molto) era un politico. Il secondo non lo è.
Se lo fosse, infatti, oggi voi non leggereste questa noiosa storiella del deja-vu, ma una più brillante rivisitazione in chiave satirica delle proposte avanzate dal nostro premier per risolvere l’ “emergenza Lampedusa” – che di emergenziale, per la verità, ha ben poco, essendo stata preventivata da oltre due mesi e in scala assai maggiore (lo so: sono uno dei pochi che dà ancora retta alle cifre sparacchiate da Maroni).
Fare satira politica, però, vuol dire prendere personaggi vagamente seri e credibili, esaminarne le affermazioni – che necessitano anch’esse del requisito della credibilità, oltre a quelli della verosimiglianza e, almeno in una qualche misura, della rispettabilità – e dileggiarle, ottenendo così un’immagine caricaturale del soggetto in questione e delle relative esternazioni. E’ proprio per tutti questi motivi che nessuno farebbe mai satira su di un pazzo mitomane.
Mi volete spiegare, allora, come potrei dileggiare un personaggio che spaccia per soluzioni a una crisi umanitaria di dimensioni epocali il fatto di “aver comprato una casa a Lampedusa”, di voler istituire una “moratoria bancaria e fiscale” per gli abitanti dell’isola e di “aprire un’impresa di commercio del pesce”, più di quanto già non facciano le sue stesse affermazioni? Potrei magari ribattere in tono ironico: “bravo Silvio! E perché non costruisci un campo da golf?”, ma l’ha già detto lui. Allora potrei provare con un “Si! Vogliamo anche il nobel per la pace ai lampedusani!”, ma anche qui arriverei in ritardo. “Costruisci un casinò!”: già detta anche questa.
Se proprio vogliamo sorridere, allora, dobbiamo immaginarci un premier (magari non coinvolto in una ventina di processi che vanno da mafia a traffico di droga, da strage a corruzione) che, sbarcato sull’isola ben prima che le ondate di migranti la sommergessero – per la felicità dei leghisti, che oggi hanno finalmente qualcosa su cui ruttare (chiedo scusa, parlare) – , rassicurasse la popolazione lampedusana, esponendo un piano preventivo di accoglienza e smistamento dei migranti e precisando in anticipo che, nel caso in cui la situazione dovesse degenerare, lui si prenderebbe tutte le responsabilità politiche del fallimento del piano, dimettendosi immediatamente. Questa si, sarebbe vera satira.
L’unica satira che ci è rimasta.
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