domenica 5 dicembre 2010

Vittorio e Marcello: dalle stelle alle stalle. Di Silvio

Non mi chiedete chi sono i politici compromessi con la mafia. Se rispondessi, potrei destabilizzare lo Stato
(T. Buscetta)




E' il 1974. Nixon si dimette per lo scandalo Watergate, la ABC trasmette la prima puntata di Happy Days, l’Italia piange gli otto martiri della strage neofascista di Piazza della Loggia. Un uomo varca per la prima volta il cancello di Villa San Martino, Arcore. Casa Berlusconi.
Occhialoni da vista in viso, accento siciliano, sguardo da duro. Il suo nome è Vittorio Mangano, il suo curriculum ricco di arresti e denunce. Berlusconi dice di averlo assunto come stalliere. E in effetti la splendida residenza appena prelevata a un prezzo stracciato dalle mani di Annamaria Casati Stampa, un’orfana minorenne, ospita, all’interno dello sterminato parco che la circonda, un maneggio.
C'è il maneggio, dunque, e c’è il fattore. Mancano, però, i cavalli. E mancheranno per tutti i due anni di permanenza dell'oscuro personaggio in villa.

Due anni che Mangano, raggiunto da moglie e figli ad Arcore, non trascorre tra biada e selle, ma vivendo a stretto contatto con il Cavaliere e la sua famiglia: porta i suoi figli a scuola, cena regolarmente allo stesso tavolo di Silvio anche in presenza di ospiti. Qualche volta invita pure dei suoi amici siciliani: secondo diversi pentiti, altro non sono che mafiosi latitanti.
Ogni tanto il soggiorno si interrompe. In ballo non ci sono corse equestri, ma i postumi della vita siciliana: due condanne definitive per ricettazione e porto abusivo di coltello.
Scontate in carcere la pena, Mangano torna a casa di Silvio, che, colto dal suo proverbiale spirito filantropico-garantista, lo riaccoglie a braccia aperte entrambe le volte. Che volete, sò ragazzi!
Berlusconi non fa una piega nemmeno quando i carabinieri lo avvisano che il suo inquilino-fattore è in realtà il basista di un tentativo di rapimento ai danni di un amico di lunga data del Cavaliere. Non c’è dunque da stupirsi se Silvio chiude un occhio anche quando dalla villa spariscono quadri, gioielli ed altri oggetti di valore: semplici rimborsi spese.

In realtà Berlusconi, che stupido non è, Mangano lo conosce eccome. La decisione di ospitarlo ad Arcore – come afferma il Tribunale di Palermo – è stata presa durante un incontro avvenuto negli uffici dell’Edilnord a Milano. Presenti Berlusconi e tre boss mafiosi di primissimo piano: Francesco di Carlo, boss di Altofonte che racconterà dell’incontro ai magisrati, Mimmo Teresi, boss della famiglia di Santa Maria del Gesù, e Stefano Bontate, il boss dei boss, il capo di Cosa Nostra che morirà ammazzato qualche anno dopo per mano dei Corleonesi di Totò Riina. Artefice dell’incontro Marcello Dell’Utri, amico intimo di Berlusconi, che trova nella mafia il riparo ideale per la sicurezza del Cavaliere. Secondo la sentenza della Corte d’Appello di Palermo che lo condanna a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, Dell’Utri è stato l’intermediario che ha permesso a Cosa Nostra di estorcere favori e denaro a Berlusconi e alle sue aziende. In pratica il Cavaliere, preoccupato dai sequestri e dalle minacce della mafia, non si sarebbe rivolto ai Carabinieri e alla magistratura per chiedere protezione, ma alla mafia stessa. Questione di gusti.

Nel 1976, due anni dopo il suo arrivo, Mangano lascia per sempre Villa San Martino. Ma Dell’Utri non lo abbandona. Marcello, che tra gli anni '70 e '80 partecipara ad almeno 2 cene tra boss mafiosi di primo livello, riesce a farsi intercettare dai carabinieri mentre discute al telefono con Mangano di cavalli da recapitare in albergo – secondo Paolo Borsellino quando Mangano parla di cavalli intende partite di eroina – e ad incontrare per almeno 2 volte (nel novembre del 1993, mente lavora alla creazione di Forza Italia) il boss mafioso, reduce da una condanna a 10 anni per traffico di droga (non a caso Borsellino lo definisce come la “testa di ponte di Cosa Nostra al nord” per il traffico di droga). Nuovamente arrestato nel ’95, Mangano subirà altre 3 condanne definitive: nel ’99 verrà condannato a 15 anni per droga e ad altri 15 per estorsione; nel 2000 verrà condannato all’ergastolo per duplice omicidio. Morirà in carcere il 23 luglio dello stesso anno. Hai capito questi fattori?
Berlusconi sembra invece volersi lasciare alle spalle questo ingombrante passato. Che, tuttavia, stando almeno alle dichiarazioni del finanziere Filippo Rapisarda e di alcuni pentiti, qualche segno lo lascia. Come i 113 miliardi di lire di provenienza sconosciuta (circa 250milioni di euro attuali) che tra il 1975 ed il 1983 rimpinguano le holding della Fininvest. Da dove vengono questi soldi? E’ il tesoro di Stefano Bontate, come sostengono i pentiti? Non lo sapremo mai. Il 26 novembre 2002, quando i giudici di Palermo entreranno a Palazzo Chigi per porgli questa semplice domanda chiarificatrice, Berlusconi si avvarrà della facoltà di non rispondere.

Chi è, allora, Silvio Berlusconi? Un complice inconsapevole? Una vittima inerme? O un imprenditore colluso? Domande che non trovano risposte. A meno che non si voglia dare retta a Frank Coppola, celebre mafioso degli anni ‘60 che, interrogato da un magistrato su cosa fosse realmente la mafia, rispose: “Poniamo che ci sia un concorso per un pubblico ufficio e ci siano tre candidati: uno colluso, uno stupido e uno molto vicino al governo. Vincerà sempre quello stupido.

Questa è la mafia”.

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