mercoledì 12 gennaio 2011

Italia, what else?



Di seguito trovate l'articolo che ho avuto il piacere di scrivere per i ragazzi di Pane & Politica, portale dedicato alla comunicazione ed al marketing politico (a proposito: dategli un'occhiata a questo link!!).
A loro vanno il mio ringraziamento e i miei migliori auguri per la buona riuscita del progetto.


“Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”. La celebre frase, attribuita a Massimo D’Azeglio, risuona incredibilmente attuale se rapportata ai rumors che danno il nome della nostra penisola in pole position tra le possibili etichette del nuovo partito di Berlusconi.

Checchè ne dicano Silvio e i suoi, infatti, l’esigenza di trovare un nuovo nome per un nuovo partito va ben al di là delle diatribe legali tra il (disciolto) Pdl e il fresco Fli. Il “Dio sondaggio” dice che c’è da tamponare la preoccupante emorragia di voti ed elettori – gli “italiani”, appunto – che, vuoi per gli scandali sessuali, vuoi per le inchieste giudiziarie, vuoi per la fuoriuscita-cacciata di Fini, ha interessato il Pdl in questi ultimi mesi. Emorragia che, per il partito nato in pompa magna dall’ennesima trovata politico-mediatica di Berlusconi e dominatore incontrastato di tutti gli appuntamenti elettorali degli ultimi 2 anni e mezzo, comincia ad essere preoccupante, tanto da richiedere, se non proprio una Renziana “rottamazione”, quantomeno una pronta revisione.
C’è inoltre da operare un riposizionamento strategico che, da un lato, consenta di riempire quell’area politica liberata dalla dipartita-cacciata della componente neo-centrista di Fini, dall’altro, dia un forte segno di discontinuità tra il Pdl pre-scissione, che covava al suo interno il seme del tradimento, e quello del dopo Mirabello.
E quale nome più di “Italia” potrebbe consentire, contemporaneamente, di (ri)conquistare il voto dei conservatori spiazzati dal centrismo di Fini e di riaccendere gli animi delle frange più calde del “tifo” berlusconiano? Nessuno.

Riappropriandosi della vecchia e (a suo tempo) innovativa trovata di trapiantare il gergo calcistico-sportivo nella retorica politica, Berlusconi conta dunque di scaldare il motore in vista delle possibili elezioni anticipate.
Sfondo azzurro che richiama i colori della nazionale, nastro tricolore nel mezzo e scritta “Berlusconi presidente” ben evidente, il nome “Italia” rappresenterebbe il punto di arrivo di quell’ideale percorso iniziato nel 1994 con il caldissimo “Forza Italia” e proseguito nel 2007 con il più tiepido “Popolo delle Libertà”. Un nome ed un logo che, come hanno suggerito i sondaggisti e gli esperti di marketing ingaggiati dal partito, strizzerebbero l’occhio alla dimensione patriottica nell’anno del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
Una sigla – Italia – che risponderebbe alla necessità di uscire dai classici schemi della comunicazione politica e che, ad esempio, non potrebbe essere sintetizzata, compressa o più semplicemente ridotta all’impronunciabile sigla-acronimo di turno.

E chiessenefrega, dunque, se qualcuno potrebbe sottolineare l’evidente contraddizione tra l’adozione di un nome – Italia – che cerca di unire, e l’utilizzo di retoriche strategie politiche che, nei fatti, puntano a dividere (tra berlusconiani ed anti-berlusconiani, tra liberali e comunisti, tra partito dell’amore e partito dell’odio, ecc…).
Chissenefrega anche se l’alleato più fedele, un giorno sì e l’altro pure, grida alla secessione dal resto dell’Italia e dalla capitale ladrona.
Una cosa è la politica, un’altra è l’immagine.

Quale delle due, oggi, conta di più?

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